mercoledì 24 aprile 2013

D I S A B I T A T O










D I S A B I T A T O

Essere a casa, tornare a casa, sentirsi a casa, sono tutte espressioni che indicano quanto la casa rappresenti un profondo senso di agio personale.
Le pareti fisiche hanno il fondamentale significato di sicurezza sin dai remoti tempi delle caverne, quando in nostri più lontani avi si riparavano cercando protezione.
Come sappiamo gli uomini delle caverne iniziarono a “riempire” le loro “case” cono segni e disegni che raccontavano la loro storia.
Al significato di rifugio si aggiunsero in questo modo molteplici e profonde espressioni quali la narrazione, lo specchio dei contenuti affettivi, simbolici, comunitari e dunque il riflesso del mondo interno ed esterno.

Non diversamente seppur in modo più articolato e complesso, oggi la casa, col passare del tempo, finisce per assomigliare alla personalità del suo possessore, ma, se un possessore non ci fosse più? Che cosa ne resta di quelle mura, pavimenti piastrellati e crepe profonde?
“Disabitato” è un ricerca che sonda i luoghi abbandonati, le cui foto indugiano sul lato della decadenza e del vuoto-pieno degli spazzi, tracciando linee e ombre che diventano palpabili.
In queste abitazioni abbandonate, un  volta entrati, si avvertono sempre svariate sensazioni e a seconda degli ambienti, delle stanze, della polvere è possibili sentirsi coinvolti o pervasi da una profonda energia (una sorta di etere invisibile, estraneo al regno materiale) rimasta aggrappata alle pareti come la calce.
Per citare un esempio di quanto detto, Lovercraft descrisse minuziosamente l’aspetto e le impressioni di una casa, in un lettera del 1926, nella quale fra l’altro sottolinea la coltre d’edera che soffocava la magione <<così fitta da poter essere soltanto o maledetta o nutrita da cadaveri>>.

Disabitato  è un album di “famiglia” che si appropria di ricordi di altri, presi da un altro tempo.
in definitiva il progetto è legato all’idea di identificazione degli spazi che furono. Attraverso i muri e gli abitanti del passato c’è un ricerca della memoria “morta”, una memoria dimenticata e dispersa. Spaziando sulla riflessione essenziale e sulla condizione umana all’introspezione nell’universo delle emozioni e dei sentimenti.
la composizione fatta di ibridi umani e animale, le foto delle pareti e la vegetazione che cresce secca e deperisce lungo le pagine dell’album, gioca sulla rivisitazione del valore simbolico del paesaggio. Il filo conduttore è la Fragilità come cifra dell’esistenza e delle sue differenti sfumature. 

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